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giovedì 27 ottobre 2016

La riforma costituzionale e Licio Gelli

Secondo molti (anche il sottoscritto) l'attuale riforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini avrebbe molti aspetti comuni con il cosiddetto Piano di rinascita democratica della P2 ,la loggia massonica di Licio Gelli.

Il 4 luglio del 1981, la polizia giudiziaria fermava a Fiumicino, dov’era atterrata di rientro da Rio de Janeiro via Nizza, Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, Venerabile Maestro della Loggia massonica Propaganda 2. Nel doppiofondo rudimentale di una borsa da viaggio venivano rinvenute alcune buste contenenti documenti vari, uno dei quali dal titolo Piano di rinascita democratica.


Scriverà nella sua relazione conclusiva Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2: Non è un documento di intenti che lo possa qualificare come il manifesto della Loggia P2. Piuttosto un piano di azione che, oltre a fissare degli obiettivi, predispone in dettaglio le conseguenti linee di intervento e come tale ne arriva a preventivare perfino il fabbisogno finanziario.
Lo scandalo P2 era scoppiato il 17 marzo 1981. Quel martedì, i magistrati milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, giudici istruttori delle indagini sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli e sul finto rapimento del banchiere Michele Sindona, avevano mandato la Guardia di Finanza a perquisire la residenza di Gelli a Villa Wanda, sulle colline di Arezzo, la fabbrica di materassi Gio.Le di cui il Maestro era proprietario a Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo, e l’Hotel Excelsior di Roma, dove Gelli era solito ricevere i suoi interlocutori. Negli uffici della Gio.Le venne trovato un tabulato con i nomi di 962 iscritti alla loggia. Nomi importanti, figure di primissimo piano del panorama politico, militare e imprenditoriale e del mondo dell’informazione: ministri ed ex ministri, parlamentari, vertici dei Servizi segreti, prefetti, questori, ufficiali dei carabinieri, dell’Aeronautica, della Marina, dell’Esercito, della Guardia di Finanza, della Pubblica Sicurezza, alti magistrati, banchieri (tra i quali Michele Sindona e Roberto Calvi), imprenditori (anche Silvio Berlusconi), editori (tra cui Angelo Rizzoli, all’epoca editore del Corriere della Sera), giornalisti (tra cui Maurizio Costanzo e Franco Di Bella, quest’ultimo all’epoca direttore del Corriere della Sera). Nomi che l’allora presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, deciderà di rendere pubblici il 21 maggio, con susseguente inevitabile terremoto politico. Lo stesso governo, travolto dallo scandalo, sarà costretto a dimettersi qualche giorno dopo.


Gelli venne colpito da un primo ordine di cattura il 22 maggio, ma riuscì a rendersi irreperibile. Sarà arrestato solo un anno dopo, il 13 settembre 1982, a Ginevra. E fu durante la sua latitanza che venne fermata a Fiumicino la figlia Maria Grazia, con il Piano di rinascita democratica. Secondo la ricostruzione della Commissione sulla P2, il Piano fu redatto tra la fine del 1975 e l’inizio del 1976, gli anni della significativa apertura a sinistra intrapresa da Aldo Moro. Un mutamento che obbligò gli ambienti che gravitavano intorno alla loggia ad elaborare nuove e più sofisticate strategie. In cosa consisteva il Piano? Non in un semplice manifesto propagandistico ma, piuttosto, in un articolato programma d’azione che di democratico non aveva assolutamente nulla, se non l’aggettivo nel titolo, e che prevedeva invece una svolta di stampo autoritario da imporre al Paese attraverso opportuni interventi sui principali settori della vita pubblica italiana: Parlamento, governo, partiti politici, magistratura, informazione, sindacati. Interventi da portare avanti non dall’esterno, in modo violento, ma dall’interno, attraverso la scalata ai vertici del mondo politico, istituzionale e dell’informazione. 
È inevitabile che molti di questi punti siano stati rispettati e/o portati avanti,specialmente da Silvio Berlusconi (che risultò essere tra gli iscritti della P2).
 Si pensi alla svolta in senso bipolarista del sistema dei partiti, al disegno presidenzialista, ai vari scudi fiscali approvati nella Seconda Repubblica, ai reiterati tentativi di introdurre la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati, agli attacchi all’indipendenza e all’autonomia del Csm, al progetto di dissolvimento della Rai operato con la sciagurata legge Gasparri, all’idea della rete di tivù via cavo che ha portato alla nascita e all’espansione di Mediaset, alla rottura dell’unità sindacale.
Mancava l’ultima parte del disegno piduista,la più importante, quello orientato allo stravolgimento della Costituzione e del sistema elettorale, ma ci ha pensato Matteo Renzi. Perché là dove non è riuscito Berlusconi,che aveva un'opposizione mediatica forte,ce la sta facendo Renzi.
è di questo governo soprattutto la pessima e pericolosissima riforma costituzionale per rovesciare, in combinato con l’Italicum, la centralità del Parlamento a favore di un premierato forte, con un’enorme concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo e del suo capo. Un uomo solo al comando con tutti i rischi che senza gli opportuni pesi e contrappesi questo comporta. 
Un Senato debole a discapito di un esecutivo più potente, Riguardo al Piano di Rinascita democratica della P2, sfogliando le pagine di quel testo, si ritrova – nella parte riguardante le riforme istituzionali – una quasi totale abolizione del Senato riducendone drasticamente il numero dei membri e attribuendogli una competenza limitata alle sole materie di natura economica e finanziaria, con l’esclusione di ogni altro atto di natura politica. L’intento era ed è ancora oggi chiaro: dare un taglio effettivo a un ramo del Parlamento che, storicamente, ha maggiore saggezza e cultura non solo politica, a favore di una maggiore velocità nel fare leggi e riforme...l'ha detto Gelli, non io.

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